Francesco Pontelli - Economista

Innovazione e delocalizzazione immateriale 

13/11/17 

Ancora oggi sembra incredibile come buona parte del mondo delle professioni risulti sempre più convinto che l'innovazione tecnologica riguardi solo il sistema industriale. In altre parole, la velocizzazione unita ad una minore intensità di manodopera per milione di fatturato, con  la conseguente diminuzione dei costi sostenuti dall'impresa industriale, risulterebbero relative ed applicabili solo ed esclusivamente alla produzione di prodotti fisici poi in vendita nel libero mercato. Questa  posizione risulta assolutamente distonica rispetto al dna stesso dell'innovazione tecnologica in quanto essa fornirà i maggiori cambiamenti soprattutto nel settore dei servizi immateriali, quindi anche nelle prestazioni dei professionisti, abbinata all'introduzione dell'effetto concorrenziale, inevitabilmente si manifesterà attraverso un sostanziale abbassamento delle tariffe praticate  al pubblico.
Ancora oggi invece consulenti del lavoro e avvocati lavorano per la istituzione di un "equo compenso" stabilito per legge che altro non è se non una tariffa minima che garantisca secondo loro la qualità del servizio ma che dimostra essenzialmente l'antistoricità  di questa posizione anche attraverso la negazione dell'evoluzione economica legata alla creazione di un mercato globale.
Tale questione emerse già anni fa quando i maestri di sci del Trentino Alto Adige si lamentarono di come molti colleghi con licenza albanese o di paesiintra europei praticassero sui medesimi comprensori sciistici delle tariffe molto più basse ai gruppi di turisti che venivano a sciare in Italia.
Gli stessi maestri di sci però non avevano battuto ciglio quando precedentemente, allacciandosi la giacca a vento, non si fossero minimamente preoccupati se questa risultasse prodotta in Romania o, peggio, in Cina. Di conseguenza non si erano minimamente preoccupati di quanti posti di lavoro risultassero soppressi attraverso questa delocalizzazione produttiva. Solo quando il mercato globale cominciava a toccarli in prima persona la questione si poneva alla loro attenzione.
A puro titolo informativo per i sostenitori ancora oggi dell'economia post industriale basata sulla app, gig e sharing economy si ricorda come le delocalizzazioni produttive siano giudicate con un ritardo di oltre 20 anni dalla principale università americana (Harvard) come espressione di una volontà speculativa e non certamente come molti avevano detto un veicolo di sviluppo.
In questo contesto infatti va sottolineato come sempre più trovi consenso ma soprattutto supporto normativo la nuova dottrina economica del "reshoring produttivo", cioè le riallocazioni produttive all'interno di quegli stati che una volta invece le avevano delocalizzate. Sempre a puro titolo informativo per i sostenitori dell'economia digitale, che annovera buona parte del mondo accademico e degli economisti, si ricorda che anche questa nuova tendenza produttiva risulti legata anche  alla volontà della distribuzione la quale al fine di eliminare i costi del magazzino ha intensificato la frequenza e diminuito i volumi dei propri acquisti rendendo assolutamente insostenibili (ma anche antieconomiche) le produzioni troppo distanti dai mercati di sbocco.
Tuttavia adesso le problematiche relative all'innovazione tecnologica si aggiungono anche al settore dei servizi. Basta infatti guardare alle "economie più avanzate" e comprendere come molti centralini delle maggiori aziende americane risultino dislocati  in India grazie al costo irrisorio delle impiegate e all'ottima pronuncia inglese. Contemporaneamente sempre più gli studi di ingegneri ed architetti indiani e cinesi svolgono l'attività di progettazione per complessi edilizi da realizzarsi all'interno degli Stati Uniti ma ad un costo di progettazione estremamente ridotto. Questo sicuramente rappresenta un problema non solo per i professionisti che vedono scendere le commesse ma per tutto il paese in quanto si interrompe una filiera, dall'ideazione alla realizzazione, che ha creato un  forte aumento del PIL fino ad un recente passato.
Tuttavia, a causa della miopia e della superbia, gli ordini professionali si credevano immuni ed assolutamente impermeabili all'innovazione tecnologica come dei  suoi effetti legati alle delocalizzazioni produttive. Ora, tardivamente, si accorgono che il principio della concorrenza unito all'innovazione tecnologica li coinvolge direttamente ed azzera le differenze culturali con Paesi a basso costo di manodopera anche qualificata in grado di fornire i servizi con dei costi irrisori. Finalmente incominciano a porsi il problema.
Certamente questi si avvantaggiano di avere l'appoggio di una politica o di un mondo politico miope che aveva sposato la dottrina della "economia post industriale", quindi aveva implicitamente appoggiato le delocalizzazioni, mentre ora la conseguenza di questo errore di strategia economica appoggia l'imposizione normativa di un equo compenso che risponde al principio sbagliato degli "interna corporis" e cioè della stessa indicazione di una tariffa minima da parte degli stessi professionisti. Quando gli stessi sostenitori dell'equo compenso si rallegrano di acquistare un bene prodotto in Cina ad un terzo, se non un quinto, del prezzo dei medesimi beni ma prodotti in Italia si ricordino che la stessa innovazione tecnologica, unita ad un mercato globale, cambierà il loro mondo e soprattutto i loro redditi.
Quindi la ricerca, ed ancor peggio l'istituzione attraverso una norma legislativa di un equo compenso, rappresenta una scelta antistorica e antieconomica che anche se introdotta nell'ordinamento legislativo italiano verrà bypassata proprio dall'innovazione tecnologica.
La "delocalizzazione immateriale" esplode come un fenomeno ormai inarrestabile proprio nel settore dei servizi. L'unica soluzione risulta quella di aumentare, a parità di costo, il valore del servizio offerto esattamente come con grande fatica e senza il supporto normativo del corpo politico italiano sta già facendo il mondo industriale. Tutte le altre scelte ed opzioni altro non sono che la ricerca del mantenimento di rendite di posizione ormai assolutamente indifendibili e superabili proprio a causa (o grazie) della (alla) innovazione digitale.



Francesco Pontelli - Economista

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